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Federico Cipressi

Padiglione del Brasile a Osaka

Questo articolo è tratto da una ricerca di gruppo svolta per il Laboratorio di Progettazione dell'Architettura III del professore Michelangelo Pivetta all'Università degli Studi di Firenze.


Collaboratori del LPA: Giacomo Razzolini, Mattia Baldini, Mikhail Fabiani, Lapo Fuochi,

Pier Paolo Lagani, Laura Mucciolo, Vanni Renzini, Anna Chiara Zei


Autori: Federico Cipressi, Fernando Sincero

 

Paulo Mendes da Rocha ebbe da sempre un contatto molto intenso con il mondo della costruzione, sia per influenza di suo padre, un ingegnere dei porti e professore all’Università di San Paolo (USP), ma anche per il nonno materno, un appaltatore. Fu invitato da Vilanova Artigas, uno dei precursori della Scuola Paulista, e anche suo maestro, a insegnare all’USP, intanto, la situazione si rese complicata dopo il colpo di stato che instaurò una dittatura militare in Brasile dal 1964 al 1985, comportando alla soppressione dei diritti civili dei suddetti architetti, che dovettero lasciare i ruoli pubblici che svolgevano fino all’amnistia del 1980.

Elaborazione grafica a cura degli autori

Nonostante la censura intellettuale, Mendes vinse, paradossalmente, il concorso per il progetto del Padiglione del Brasile per la Expo di Osaka del 1970, cui tema fu “Progresso e Armonia per l’Umanità”. Il padiglione era formato principalmente da tre elementi caratterizzanti: le colline artificiali, che possono essere interpretate come un richiamo ai morros (colli/colline) di Rio de Janeiro, o anche ai Lençóis Maranhenses (dune di sabbia pervase da stagni pluviali in Maranhão); la copertura in calcestruzzo, che ripropone quella della facoltà di Architettura dell’USP; e gli archi incrociati, un noto riferimento agli archi coloniali brasiliani, come gli Arcos da Lapa a Rio, che, a loro volta, sono una macchia del colonialismo portoghese nel paese sudamericano. La rigidità formale si ricollega ai temi della corrente Architettura Paulista e, attraversata da una certa sinuosità, rievoca, in tributo, l’iconico linguaggio di Niemeyer, che, nonostante sia appartenuto alla Scuola Carioca, viene riproposto nelle tenui curve delle travi.


La copertura in calcestruzzo prefabbricato e vetro è aperta in tutti i suoi lati, essendo le colline sottostanti gli elementi verticali responsabili per creare una barriera visiva e, in qualche modo, anche fisica, in modo da stabilire una nota continuità tra l’interno, delimitato dall’ombra progettata dalla copertura sovrastante, e l’esterno, stabilendo un poetico rapporto tra architettura, contesto e paesaggio. La copertura a cassonetti si appoggia sulle colline attraverso due travi perimetrali a sezione non costante in tre esili giunti, mentre il quarto è una coppia di archi a tutto sesto che denota la Praça do Café, uno spazio dedicato al ritrovo dei visitatori. Al di sotto delle colline si trovano due spazi distinti, il primo, che ospita una zona espositiva e i servizi igienici, si pone direttamente sotto la copertura ed è accessibile attraverso due rampe che forano le colline e attraversano il piano interrato in diagonale. Il secondo, messo al limite della facciata posteriore, e accessibile attraverso un’apposita rampa, è dedicato agli uffici dell’Itamaraty, il Ministero degli Affari Esteri Brasiliano.


Elaborazione grafica a carico degli autori

Il Padiglione fu l’unico progetto di Mendes realizzato come architettura di rappresentazione, raccogliendo diversi elementi dell’architettura brasiliana, come una sorta di collage, con lo scopo di manifestare un carattere simbolico del più grande paese dell'America del Sud. La materialità semplice, e molto caratteristica della Scuola Paulista, è dovuta, anche, al momento storico attraverso il quale il paese viveva. Mendes non volle avvalersi di materiali e tecniche più ricercate che venivano esplorate nel resto del mondo, e la sua motivazione per tale mossa fu l’onestà progettuale di non comunicare, attraverso la sua architettura, un Brasile che, ormai, non era più al passo delle più nuove tecniche costruttive. Un progetto sviluppato secondo tendenze non in voga nel paese sarebbe stato un’architettura mendacia, che non racconta la verità. Quello che Mendes scelse di raccontare con il padiglione fu un’immagine onesta non solo del paese, ma anche del suo popolo che, nonostante stesse subendo un’atroce dittatura, non mollava la resistenza politica e sociale. La ricercatrice Isabel Villac definisce il padiglione come “la casa del popolo brasiliano”, intesa come luogo che ospita i loro valori storici, sociali e culturali, allo stesso tempo che evoca anche natura e paesaggio attraverso le sue forme al contempo rigide e sinuose.


Fotografie del modello di Vanni Renzini (@vannirenzini)

Riferimenti

Libri:

  • Paulo Mendes da Rocha. La Città per Tutti: Scritti Scelti. A cura di Carlo Gandolfi, Nottetempo, 2021.

  • Montaner, Josep Maria, and Maria Isabel Villac. Mendes Da Rocha. Gili, 1996.

  • Mendes da Rocha, Paulo. Il Padiglione Del Brasile a Osaka: Tra Terra e Cielo, Lo Spazio: Paulo Mendes Da Rocha. Edited by Carlo Gandolfi and Mirko Russo, CLEAN, 2017.

Articoli:

Siti web:

  • Orlandi, Ana Paula. “Entre a Poesia e a Técnica.” Revista Pesquisa Fapesp, https://revistapesquisa.fapesp.br/entre-a-poesia-e-a-tecnica/.

  • Paulo Mendes Da Rocha - Cau/BR. https://caubr.gov.br/paulomendesdarocha/.

  • Veiga, Edison. “Arquiteto Paulo Mendes Da Rocha Morre AOS 92 Anos; Relembre Trajetória.” Estadão, Estadão, 23 May 2021, https://cultura.estadao.com.br/noticias/geral,arquiteto-paulo-mendes-da-rocha-morre-aos-92-anos-relembre-trajetoria,70003723895.

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